Le opportunità di crescita economica e sociale delle comunità che si sviluppano a ridosso dei porti hanno per secoli garantito che le città d’approdo fossero considerate importanti per lo sviluppo di un intero territorio, non solo delle attività strettamente connesse alla portualità. La modifica del titolo V° della Costituzione ha affidato la competenza dei porti minori alle Regioni, e la regione Lazio, con i suoi oltre 300 chilometri di coste, la presenza delle isole pontine e di diverse possibilità di attracco lungo la linea di costa, deve fare i conti, in questi anni più che mai, con l’atavica assenza di pianificazione del sistema portuale regionale e con la difficoltà economica che le istituzioni dimostrano nel portare avanti interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria su tutta l’infrastruttura portuale. Come in gran parte degli ambiti di competenza dell’amministrazione regionale, anche i porti mancano di una visione d’insieme che sia propedeutica alla loro crescita sostenibile in armonia con le reali esigenze del territorio. L’attuale piano regionale di coordinamento dei porti risale al 1998 e non ha rappresentato né un atto normativo cogente, né uno strumento urbanistico programmatorio.
Nel 2010, presieduta da Renata Polverini, l’allora Giunta Regionale istituisce la Cabina di Regia del Mare con il fine di coordinare e integrare le politiche relative all’ambito marittimo, e il compito di produrre un documento di programmazione in materia di portualità turistica e non, per consentire lo sviluppo sostenibile degli ambiti costieri. Soltanto nel 2012, però, vengono approvate le Linee Guida per la redazione del Piano dei Porti e delle coste della regione Lazio e da allora attendiamo la conclusione di questo documento, di cui abbiamo notizie grazie alla ricognizione del lavoro da svolgere redatta da AREMOL, l’Agenzia Regionale per la Mobilità della Regione Lazio e dal Centro di Ricerca per il Trasporto e la Logistica dell’Università La Sapienza di Roma. Intanto, però, le norme nazionali e regionali in materia di portualità, in particolare la legge 84 del 1994 e la legge regionale 72 del 1984, vengono a essere strumenti ormai desueti con la seconda, che prevede il finanziamento di interventi di adeguamento del sistema portuale del Lazio, finanziata con impegni irrisori rispetto al reale fabbisogno dei nostri porti.
Per far meglio intendere come la mancanza di pianificazione e l’inerzia delle amministrazioni influiscano sulla vita dei cittadini, è sufficiente calarsi nel nostro territorio e in particolare nel litorale pontino, comprensivo delle Isole Ponziane, definito dal Piano macroarea C, e più specificamente nella zona di costa in cui è inserito il Porto di Terracina.
Problematica comune a tutta la costa laziale è l’aggravarsi del fenomeno dell’erosione costiera, situazione che peggiora laddove vi sia la presenza dei bracci dei porti che, essendo strutture rigide, impediscono il naturale fluire delle sabbie provocandone anche l’accumulo proprio all’uscita di porti ed estuari. Ecco perché sarebbe necessario procedere con continue operazioni di dragaggio per limitare le situazioni di pericolo per le imbarcazioni immaginando di organizzare un sistema di gestione e protezione delle sabbie che, adeguatamente stabilizzate, potrebbero essere riutilizzate nelle opere di ripascimento morbido.
Altra componente caratterizzante del nostro mare è la presenza dell’Area marina protetta inclusa nella Rete Natura 2000 che non dovrebbe essere vissuta come un limite allo sviluppo del territorio, ma come un’opportunità e uno stimolo alla riconversione dei nostri investimenti economici verso attività maggiormente sostenibili per la terra e il mare.
Dare una specifica vocazione ad ognuno dei porti della stessa macroarea, inoltre, impedirebbe l’anarchia delle attività commerciali e di offerta turistica che oggi, per sopravvivere, rischiano ad ogni minuto di infrangere equilibri precari.
In riferimento al porto di Terracina ad esempio, osserviamo convivere diverse realtà in spazi angusti con i pochi grandi pescherecci ancora esistenti impegnati per lo più a sopravvivere a normative europee lontane dalla reale situazione del nostro mare e che pongono ad altissimo rischio gli investimenti privati nel settore. Quasi inutile ricordare che fino a oggi non si è mai voluto investire in attività di professionalizzazione e aggiornamento nel lavoro della pesca, un lavoro per lo più tramandato di padre in figlio e che non trova sul territorio una rete affidabile di associazioni, organizzazioni di categoria o istituzioni specializzate nel sostegno del comparto.
Altro settore con un ruolo primario nell’economia di tutta la comunità e del mare è quello del diporto ma anche qui si deve convivere con l’approssimazione degli amministratori che si delinea in un’atavica carenza di posti barca con costi eccessivi e incontrollati, precarietà di personale specializzato, e non, che rendono improba la sfida turistica che pure un territorio ricco di attrattive naturalistiche e culturali come è il nostro potrebbe cogliere e saprebbe vincere.
La vocazione turistica del nostro territorio meriterebbe un accesso dal mare decisamente più dignitoso ma ad oggi nel nostro porto non sono garantiti servizi primari fondamentali come l’accesso all’acqua potabile, la possibilità di rifornimento elettrico o il conferimento dei rifiuti.
La zona demaniale ha poi dell’inverosimile. Abbandonata al degrado e preda di appropriazioni più o meno lecite, evidenzia come la mancanza di una visione politica del mare sia il vero punto da cui ripartire. A cominciare dalla riattivazione dello scivolo d’alaggio pubblico con cui, oltre a risolvere una situazione di degrado, si ovvierebbe alla carenza di posti barca e si ripagherebbe l’investimento in una sola stagione turistica. Senza dimenticare che Terracina è anche uno dei porti regionali in cui è garantito il trasporto pubblico locale per le Isole Pontine seppure, al momento, latente in qualità ed efficienza e che potrebbe certamente essere razionalizzato e migliorato.
Riprogettare il ruolo e la funzione dei nostri porti non può prescindere dalla fusione delle diverse componenti che gravitano intorno alla funzionalità delle nostre infrastrutture. La dimensione urbanistica, ambientale, paesaggistica, trasportistica, di pianificazione turistica e del piano di utilizzazione degli arenili, non possono essere considerate slegate l’una dall’altra. Tornare a vivere i porti come luoghi di crescita commerciale e culturale è una sfida a cui chiunque viva in prossimità del mare non può più sottrarsi.