Da Berlino per un'Europa senza muri

Alle mie spalle c’è il Monumento alla Memoria delle vittime dell’Olocausto: ebrei, Sinti, Rom, omosessuali. È collocato a Berlino, nel quartiere Mitte, nell’area originariamente occupata dal palazzo e dalle proprietà del gerarca Joseph Goebbels, ministro della propaganda nazionalsocialista. 𝐍𝐨𝐧 𝐞𝐫𝐨 𝐝𝐚 𝐬𝐨𝐥𝐚 𝐢𝐧 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐯𝐢𝐬𝐢𝐭𝐚 𝐦𝐚 𝐥𝐨 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐫𝐢𝐦𝐚𝐬𝐭𝐚 incontrando tanti altri e altre che come me camminavano disorientati tra le labirintiche quasi tremila stele che lo compongono. L’analoga sensazione che hanno provato uomini, donne, bambini quando 𝐨𝐭𝐭𝐚𝐧𝐭’𝐚𝐧𝐧𝐢 𝐟𝐚 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐢 𝐨𝐛𝐛𝐥𝐢𝐠𝐚𝐭𝐢 𝐚 𝐯𝐚𝐫𝐜𝐚𝐫𝐞 𝐢𝐧𝐬𝐢𝐞𝐦𝐞 𝐥𝐚 𝐬𝐨𝐠𝐥𝐢𝐚 𝐝𝐞𝐢 𝐜𝐚𝐦𝐩𝐢 𝐝𝐢 𝐬𝐭𝐞𝐫𝐦𝐢𝐧𝐢𝐨 per poi separarsi e, per chi ne ha avuto il tempo, disperarsi tra centinaia di migliaia di invisibili altri.

Più mi addentravo, più mi smarrivo, più riflettevo su quanto 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐞𝐧𝐬𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐢 𝐬𝐨𝐥𝐢𝐭𝐮𝐝𝐢𝐧𝐞 𝐞 𝐚𝐛𝐛𝐚𝐧𝐝𝐨𝐧𝐨, 𝐞̀ 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐨 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐚𝐭𝐭𝐮𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐢 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐥𝐚𝐬𝐜𝐢𝐧𝐨 𝐜𝐫𝐞𝐝𝐞𝐫𝐞 𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐧𝐧𝐢 𝐭𝐫𝐚𝐬𝐜𝐨𝐫𝐬𝐢 𝐝𝐚 𝐚𝐥𝐥𝐨𝐫𝐚. Di come 𝐠𝐥𝐢 𝐞𝐪𝐮𝐢𝐥𝐢𝐛𝐫𝐢 𝐝𝐞𝐥 𝐦𝐨𝐧𝐝𝐨 𝐬𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐢𝐧𝐮𝐚𝐧𝐨 𝐚 𝐠𝐢𝐨𝐜𝐚𝐫𝐞 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐭𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐝𝐢 𝐜𝐞𝐧𝐭𝐢𝐧𝐚𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐦𝐢𝐠𝐥𝐢𝐚𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐮𝐦𝐚𝐧𝐢 𝐢𝐧𝐧𝐨𝐜𝐞𝐧𝐭𝐢, “colpevoli” di aspirare alla felicità che nei loro Paesi d’origine hanno perduto travolti dalle carestie sopravvenute per i cambiamenti climatici quando non oppressi per opinione, identità sessuale, per la propria religione. Esseri umani immobili, soli, 𝐚𝐥 𝐟𝐫𝐞𝐝𝐝𝐨 𝐝𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐟𝐢𝐧𝐢 𝐬𝐮 𝐜𝐮𝐢 𝐚𝐥𝐜𝐮𝐧𝐢 𝐯𝐨𝐫𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞𝐫𝐨 𝐫𝐢𝐧𝐧𝐚𝐥𝐳𝐚𝐫𝐞 𝐦𝐮𝐫𝐢: tra Bielorussia e Polonia, in Ungheria, nei campi di concentramento africani, sotto le bombe in Siria, nella storica Striscia di Gaza, massacrati quotidianamente per pochi euro da chi li sfrutta sessualmente o lavorativamente nelle tante stanze e fabbriche dove il giorno e la notte hanno la luce di un anonimo neon, dovunque un uomo, una donna, un bambino non possono vivere liberamente, aspirare alla felicità, amarsi e rispettarsi gli uni con gli altri senza distinzione di sesso, religione, razza.

𝐒𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐞̀ 𝐮𝐧 𝐮𝐨𝐦𝐨, 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐢 𝐧𝐨𝐢 𝐝𝐨𝐛𝐛𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐟𝐚𝐫𝐞 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐩𝐢𝐮̀.